La crisi di identità di giornali e giornalisti ai tempi del web 2.0. La fine di un epoca per l’ultima casta rimasta

Enzo Puro si chiede quale sia il confine sottile tra libertà di stampa e libertà di pensiero. Non è attacco alla libertà di stampa mettere alla berlina la violenza verbale di certi titoli. Il fenomeno degli antiberlusconiani che difendono i giornali berlusconiani

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La crisi di identità di giornali e giornalisti ai tempi del web 2.0. La fine di un epoca per l’ultima casta rimasta

L’episodio della goliardata giovanile della Leopolda dove è stato indetto un concorso per premiare il titolo più brutto messo in prima pagina dai quotidiani italiani nell’ultimo periodo può forse produrre il risultato di aprire finalmente un dibattito serio e severo sulla qualità del giornalismo italiano.

Il punto lo ha colto molto bene Gianni Riotta che, partendo da un giudizio non positivo su quanto avvenuto alla Leopolda, arriva a dire però che se si dice che “Renzi è come Mussolini” allora ecco spiegato perché i media arrancano.

“Se nel mondo libero i media sono nell’angolo – commenta l’ex direttore del Tg1 e de Il Sole 24 Ore – e se in Italia la stampa pecca di populismo, faziosità, volgarità, provincialismo, caccia frenetica di copie (regalate), click, gradimenti, forse sarebbe ora di aprire un dibattito vero, franco e autocritico, per capire in che cosa noi sbagliamo, non solo, sempre, gli altri, additati con un indice accusatore sempre più decrepito e ipocrita”.

Io credo però che l’auspicio di Riotta non sarà raccolto.

A parte qualche raro esempio la “casta” dei giornalisti (quale che sia il loro campo politico) ha la presunzione della infallibilità. E non accetterà mai di mettersi in discussione.

Io, contrariamente a Riotta, non credo che l’iniziativa goliardica della Leopolda sia una cosa sbagliata. Mettere in evidenza la violenza verbale di certi titoli credo invece possa essere un contributo al potenziamento della libertà di stampa.

Il titolo che ha vinto il concorso come titolo più orribile è stato quello di Libero che diceva a caratteri cubitali “Immigrati in cattedra e lezioni porno all’asilo” anche se io avrei premiato quel titolo, sempre di Libero, che il giorno dopo la strage di Parigi urlava in prima pagina ai “Bastardi Islamici”.

E fa una certa impressione vedere dei giornalisti icone dell’antiberlusconimo prendere contro Renzi le difese del berlusconissimo Libero, quel Libero che negli anni addietro, insieme al Giornale, si è prestato su ordine del loro padrone a campagne diffamatorie molto pesanti con l’utilizzo di titoli sparati e violenti.

D’altronde quel modello negli ultimi anni ha vinto, sfondando anche a sinistra ed è stato adottato sia dalla carta stampata diciamo così “democratica” che dai talk show più famosi.

Ed il populismo, la faziosità, la volgarità, il provincialismo, la caccia frenetica di copie (regalate), click e gradimenti di cui parla Riotta riguardano tutti.

La casta dei giornalisti non vuole critiche esterne, loro possono sbattere il mostro in prima pagina, rovinare la vita di persone che poi alla fine risulteranno innocenti, insinuare, rovinare carriere, ma se ti azzardi a criticarli allora ti accusano di mettere in pericolo la libertà di stampa.

Ma bisogna cominciare ad urlare che libertà di pensiero e libertà di stampa sono pari in quanto ad importanza e che la libertà di pensiero non può valere solo per la casta dei giornalisti.

A metà ottocento, come si legge qui (Balzac, i giornali ed i giornalisti. Non è cambiato nullaBalzac fece un ritratto dei giornalisti che rimane valido fino ai nostri giorni.

Oggi c’è però una grande novità. Un cambiamento epocale. Ed è l’irruzione dei social, del web 2.0 dove non c’è più l’esclusiva e dove tutti producono opinioni e raccontano i fatti.

Ed i giornalisti stanno vivendo una grande crisi di identità.

Un tempo quando una notizia appariva sul giornale era la verità assoluta, per avvalorarne la sua veridicità si diceva “l’ha scritto il giornale” o “l’ha detto il telegiornale”.

I giornalisti erano le vestali della informazione. Erano e si consideravano sacri.

Oggi non lo sono più anche se hanno mantenuto la boria di chi si sente dispensatore di verità ed unico narratore dei fatti.

E sono cominciate le geremiadi lamentose del “quanto erano meglio i tempi di una volta” o del “una volta sì che c’erano grandi giornalisti” e qualcuno, vedi Umberto Eco, attacca la proletarizzazione e la plebeizzazione portata, a suo dire, dal web.

Ma i tempi di una volta non torneranno più.

Non torneranno più per la politica ma non torneranno più neanche per il giornalismo.

Ed è anacronistico e patetico, nel mondo in cui le notizie e le informazioni viaggiano sul globo in modo istantaneo, accusare chi li critica di attacco alla libertà di stampa.

Egregi signori, appartenenti all’ultima casta rimasta intoccabile, noi rivendichiamo la libertà di sottoporvi a critica, di accusarvi delle nefandezze che mettete in atto, di lanciare appelli a non comprare più il vostro giornale o a non guardare più il vostro talk show.

E ci sentiamo di farlo perché sappiamo che il web 2.0 è di per se stesso un presidio di libertà e semmai i veri pericoli alla libertà vengono da chi vuole conservare coattivamente quello che era un tempo il suo grande potere di persuasione, potere che oggi ha perso e per questo grida ai pericoli inesistenti per la libertà di stampa.

Post scriptum:

Nei seguenti link troverete altri miei articoli dedicati alla casta dei giornali e dei giornalisti.

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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