Fatto da solo

Travaglio mistico

Letto 7226
Fatto da solo

Marco Travaglio va ammirato: non ha voluto consegnare il suo giornale all’aurea mediocritas del megafono di partito. E poi, per lui, all’interno dell’area destrorsa conta, anche stoicamente, distinguersi. Perfino da quelli che allietano il sabato pre-elettorale degli italiani con gadget come il “Mein Kampf”, sublimazione della linea editoriale sallustiana. I titoli di Travaglio sono infatti armi meno improprie di quelli del Giornale e di Libero. Il profilo del “Fatto” è più basso. E forse fa anche bene. Mantenendo basse anche le vendite.

Travaglio va ammirato anche perché sta scavando dentro se stesso. Il Fatto è nient’altro che il riflesso delle idee politiche e delle inchieste del passato del suo direttore. La fenomenologia dello spirito di Travaglio. Se qualcuno malignava, pensando che l’obiettivo del Fatto fosse favorire l’ascesa al potere di un movimento, deve ricredersi: nessuna ascesa, solo l’ascesi. Fatalmente le firme di spicco sono spesso marginalizzate: se sul Corriere ci sono Gian Antonio Stella e Aldo Cazzullo, Angelo Panebianco e Ernesto Galli della Loggia, sul Fatto c’è Oliviero Beha. Se su Repubblica troviamo Piero Ignazi e Roberto Saviano, Melania Mazzucco e Ilvo Diamanti, sul Fatto Furio Colombo, che viene stoccato a rispondere ai lettori. Se su l’Unità scrivono Valeria Fedeli e Sergio Zavoli, Travaglio spedisce Pietrangelo Buttafuoco agli esteri, di cui ai lettori del Fatto importa ben poco. Con tanti saluti da Enzo Biagi, che dà il nome alla testata, e da Indro Montanelli, maestro di Travaglio.

La cronaca giudiziaria del Fatto, poi, è innovativa: si occupa ossessivamente solo delle inchieste che vanno in una certa direzione. Per il resto magistrati e forze dell’ordine non esistono. Come se non lavorassero. Quarantasei arresti di mafiosi delle famiglie Genovese, Bonanno, Gambino - più il nipote di John Gotti - ad opera dell’FBI non contano. Non ci sono. L’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia si trova dovunque, tranne sul Fatto. La crescita costante dell’occupazione è meglio tralasciarla e parlar d’altro. Magari dell’apocalisse con Massimo Fini, che preannuncia “il nostro Bataclan”. Molto timido è l’approccio verso la cultura contemporanea. Pochi, secondo il Fatto, i libri in uscita. Nessun film al cinema. Forse qualche concerto, miscelato alle notizie sportive. In Italia non ci sono musei e il turismo balbetta.

In questo contesto claustrofobico gli avversari del passato vengono, in compenso, guardati con grande tenerezza: il 3 agosto una pagina intera viene dedicata al destino di Dudù, il barboncino di Silvio Berlusconi. E l’approfondita inchiesta riesce quantomeno a rasserenare il lettore che per il quadrupede temeva il peggio. Grazie agl’interventi di Laura Ravetto che ricorda “quel batuffolo bianco che la lecca forsennatamente” e di Michela Brambilla, che rivendica “una proposta di legge per un’indennità speciale alle famiglie disagiate che hanno un cane o un gatto in casa”. Mentre Maurizio Gasparri si unisce al coro, ma con riserva: “Io amo i cani, a casa mia comandano due border collie. Vengo dopo i cani, giuro. Se le vendite del Fatto quotidiano crollano, quelle degli articoli per cani crescono.

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Ernesto Consolo

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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