Un giorno di ordinaria Sicilia

Attacco mafioso alla Sinistra

Letto 6177
Un giorno di ordinaria Sicilia

Uno dei primi incendi scoppia in piena notte, con una temperatura di 24 gradi. Altri incendi scoppiano nella stessa giornata in sei diverse province siciliane: Palermo, Messina, Agrigento, Caltanissetta, Trapani e Ragusa. Almeno 500 incendi, ma qualcuno parla di 800. Curiosamente in un giorno di forti venti di scirocco, che hanno contribuito a propagare le fiamme e bloccato l’intervento dei Canadair. Forse proprio lo scirocco annebbia subito la lucidità di alcuni cronisti, che puntano il dito proprio sulle forti raffiche di vento e sulle alte temperature di questo giovedì 16 giugno: meglio scaricare la questione ai metereologi e scappare a vedere gli Europei di calcio. Qualche altro giornalista, sprezzante del pericolo, inizia a parlare di roghi dolosi, di piromani, addirittura sussurra la parola “Mafia”. Poi Alfano e Crocetta non usano mezzi termini e puntano il dito sulla criminalità organizzata. Che rimbalza, suo malgrado, sulle prime pagine.

E’ ciclica la consuetudine sicula dell’incendio opera della mafia dei pascoli, alla ricerca di terreni da sfruttare. Ma stavolta siamo di fronte a un’operazione terroristica condotta con precisione militare e finalità politico-mafiose. In cui potevano scapparci i morti e una decina sono comunque i feriti. A Palermo le fiamme, divampate in diversi punti della città, hanno minacciato da vicino il santuario di Santa Rosalia e il castello Utveggio. In due scuole materne di Monreale si è sfiorata la tragedia: i Carabinieri hanno portato rapidamente in salvo i bambini, che difficilmente dimenticheranno questo giorno di ordinaria Sicilia. Gli adulti cercheranno invece di dimenticare la notizia, abbondantemente confermata, secondo la quale i gatti sarebbero stati usati come torce per appiccare il fuoco in più punti.

Facile la connessione degli incendi con l’agguato mafioso a Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi e organico al Partito Democratico; facile la connessione con il devastante incendio di vaste proporzioni di Pantelleria, dove sorgerà un Parco Naturale.

Non siamo dunque di fronte all’offensiva di una cosca, ma dell’intera Cosa Nostra, decisa dal suo vertice. Un agguato come quello ad Antoci necessita dell’autorizzazione del vertice di Cosa Nostra. Potrebbe dirsi dunque accantonata la strategia di sommersione decisa da Provenzano dopo il biennio stragista ’92-’93. In nome di una saldatura tra mafia tradizionale e mafia rurale, evidente è l’attacco in corso contro le Istituzioni: curiosamente in una fase elettorale , in cui governo nazionale e regionale sono in mano alla Sinistra e subito dopo un’ampia opera di riforme nel campo economico, giudiziario – l’inasprimento delle pene per il 416bis l’ha attuato Renzi - e dei diritti civili.

Come di consueto, Cosa Nostra non dispiega la sua violenza con una sola finalità. Spesso l’obiettivo è duplice. La Mafia agisce anche alla ricerca di appoggi politici che possono assicurare rendite di posizione. Calcolando i costi della presunta perdita di consenso e della inevitabile repressione. Che Crocetta e Antoci, tra mille difficoltà, stanno portando avanti. I 280 (duecentottanta) operai forestali licenziati da Crocetta per la fedina penale a 24 carati, possono essere un movente. Ma non il solo. Per scatenare un’offensiva simile concorre un movente rivolto a colpire le riforme politiche e la stessa linfa vitale dell’Isola che, all’inizio della stagione turistica, era pronta a risalire la china, rafforzando un accenno di ripresa. A Cefalù vengono infatti rasi al suolo in poche ore un ristorante, un locale della movida “Le Vele” e soprattutto il Club Med, che doveva riaprire nel 2018 con un investimento di 75 milioni di euro.

Di Crocetta e della sua gestione può dirsi tutto e il contrario di tutto. La Centrale unica degli appalti, i tagli ai dirigenti e altre azioni di razionalizzazione sono innegabili, così come la frammentazione politica e l’inadeguatezza burocratica regionali che lo hanno spesso paralizzato. Ma i siciliani erano abituati a presidenti quali Salvatore Cuffaro, finito cinque anni in carcere per favoreggiamento a Cosa Nostra; al suo successore, Raffaele Lombardo, condannato in primo grado per concorso esterno ad associazione mafiosa e voto di scambio (accusa dalla quale è stato recentemente assolto); addirittura a un esponente di Forza Italia, nonché’ stimato commercialista della moglie di Bernardo Provenzano, divenuto presidente della Regione quasi nel silenzio generale. Certo è che tra i bersagli di questa strategia mafiosa c’è Rosario Crocetta. Il suo appello alla responsabilità, alla Sicilia sana ed alla legalità non sembra appartenere alle sorde liturgie del dopo-attentati, ma l’indicazione dell’unica strada possibile. E che dallo stesso Crocetta potrà anche prescindere.

In questo scenario, curiosi i silenzi di esponenti del centro-destra come Giovanni Ardizzone e gl’interventi dei grillini siculi più in vista, Valentina Zafarana e Francesco D’Uva, che, con chirurgica precisione e perfettamente in linea con Forza Italia, hanno evitato di pronunciare la parola Mafia e hanno puntato il dito contro le presunte carenze nella prevenzione e nella macchina dei soccorsi. Ma d’altronde è notorio, che, per Beppe Grillo, la mafia non esiste. Da questa frammentazione, a tratti silenziosa, vengono fuori poche certezze, ma granitiche: tra queste un commissario di Polizia che indaga sui roghi e si chiama Manfredi Borsellino.

Letto 6177

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Ernesto Consolo

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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