L’Orlando operoso

Il difficile equilibrio tra politica e giustizia

Letto 4805
L’Orlando operoso

Ci volle la vicenda kafkiana di Enzo Tortora per suscitare nell’opinione pubblica un’attenzione mai vista prima riguardo al funzionamento della giustizia italiana. Era il lontano 1983 e da allora lo slogan per una giustizia giusta entrò definitivamente nel linguaggio comune. Ma quanto nelle coscienze? Cosa si intendeva e si intende oggi per giustizia giusta?

Lo schieramento innocentista in difesa del presentatore e il suo impegno nelle battaglie del Partito Radicale portarono all’affermazione dei concetti di garantismo e di Stato di Diritto che una decina di anni dopo la clamorosa ondata di arresti decisi dal pool milanese di mani pulite avrebbe offuscato dando luogo a una sorta di rivalsa giustizialista sospinta da una stampa affamata di sensazionalismo. Solo a seguito delle numerose carcerazioni preventive, un triste fenomeno che ancora non ci fa onore, al successivo andamento dei processi e ad alcune sentenze che ribaltarono le accuse, di garantismo si tornò a parlare seppure nei ristretti ambiti degli addetti ai lavori.

Della crisi dei partiti storici che ne scaturì si è detto tutto. Si continua invece a discutere di politicizzazione della magistratura quando sotto la sua lente finiscono degli esponenti politici. E se questo accade alla vigilia di un’importante tornata elettorale c’è sempre chi si affretta a parlare di persecuzione preordinata e di giustizia a orologeria. Altri invece, avendo ormai capito che questo atteggiamento non paga più, preferiscono affidarsi a un laconico comunicato per dichiarare piena fiducia nel lavoro dei magistrati auspicandone una rapida e positiva conclusione. Strano che i novelli paladini dell’onestà, dopo aver incitato la magistratura a fare piazza pulita di chiunque sia oggetto della sua attenzione, oggi la accusi di usare gli avvisi di garanzia come manganelli nei confronti dei suoi amministratori. Giustizialismo a corrente alternata.

Si esaurisce qui il problema della politicizzazione della magistratura? No, il nodo da sciogliere è un altro ed è sin troppo facile dire che si tratta solo di una questione culturale. Se non si cambiano radicalmente regole e comportamenti a ogni livello della società, dalle figure istituzionali ai protagonisti della politica fino a quegli organi di informazione che hanno trasformato il loro mestiere in megafono per forcaioli, una nuova e giusta cultura della giustizia non si potrà mai affermare e diffondere.

Per impedire ogni tipo di ingerenza politica, la Costituzione attribuisce al potere giudiziario piena autonomia e indipendenza dagli altri poteri dello Stato, il legislativo (Parlamento) e l’esecutivo (Governo), riconoscendo il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) quale organo di autogoverno svincolato dal controllo del Ministero della giustizia. Pertanto il CSM non è titolare di funzioni di indirizzo politico e non può quindi svolgere alcun ruolo politico propriamente inteso.

Il rapporto con gli altri poteri dello Stato non è in discussione perché è previsto che possa svolgersi secondo precisi canoni e attraverso canali ben definiti: gli incontri tra esponenti del CSM con la Presidenza della Repubblica o esponenti del Governo oppure quando le Commissioni parlamentari audiscono determinati magistrati su temi specifici legati alle loro competenze e alla loro esperienza.

In discussione è l’intreccio di interessi tra magistrati e partiti e movimenti politici, l’interferire dei primi sull’elaborazione delle Leggi fuori dai suddetti canoni e canali, il trasformarsi di alcuni di loro in star televisive, in irruenti capipopolo pronti alla conquista di uno scranno parlamentare, di una presidenza di Regione o di una poltrona da sindaco, la loro malintesa sindacalizzazione più rivolta all’esterno che al loro esclusivo organo di riferimento, il CSM. Compito primario ed esclusivo della Magistratura è applicare le Leggi decise dal Parlamento, non altro. Le cronache di questi giorni hanno invece dimostrato in più occasioni quanto il confine tra i poteri dello Stato sia ancora labile.

Il principale problema della giustizia italiana è questo. Se vogliamo, chiamiamolo pure equivoco ma è un equivoco che genera e sparge veleni ovunque avvilendo i principi di libertà di espressione, di legalità e di garantismo. Un equivoco che genera un pericoloso populismo secondo cui politica e corruzione sono la stessa cosa e in cui è incorso (sono benevolo) persino il nuovo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Un equivoco che inevitabilmente finisce per pesare anche sul lavoro di quei magistrati impegnati nella lotta alla criminalità comune e mafiosa, soprattutto quando emergono i loro legami con ambienti politici. 

Se in linea di principio legalità e garantismo sono facce della stessa medaglia la realtà continua a tenerle separate e non solo per l’eterno scontro tra giustizialisti e legalisti. La questione è interna anche alla stessa Magistratura laddove troppo spesso i ruoli del GIP (giudice per le indagini preliminari) e del GUP (giudice dell’udienza preliminare) si distinguono solo formalmente. E’ la differenza tra la funzione requirente e quella giudicante che col tempo si è venuta a confondere se non a sovrapporsi.

Un aspetto assai delicato, questo, perché se affrontato in modo radicale renderebbe necessario cambiare la parte della Costituzione che lo contempla. Altrimenti basterebbe rifarsi non a un magistrato qualunque bensì a Giovanni Falcone quando si limitò a suggerire di formare in maniera adeguata e “separata” le attuali figure del GIP e del GUP prima che assumano le loro mansioni. Una separazione delle carriere molto soft che tuttavia si scontrò contro il muro di ostilità alzato sia da tantissimi suoi colleghi che dalla quasi totalità delle forze politiche. Partita persa pure quella purtroppo. Tuttavia anche questo è un altro problema da risolvere al più presto e chissà se prima o poi ci si riuscirà. Dubito che avverrà in tempi brevi.

I provvedimenti del ministro Orlando hanno già fatto molto toccando nervi assai sensibili: la riduzione delle ferie dei magistrati, una maggiore definizione della responsabilità civile dei giudici, la riforma del processo civile nonché il condividere la riforma della Costituzione contro la quale si è schierato pubblicamente un membro del CSM venendo meno al suo più elementare dovere. Non so se e quanto certe reazioni dei conservatori di turno, togati o no che siano, l’abbiano fatto infuriare. Ma non credo. Più che furioso l’Orlando è un tipo capace e tenace, discreto e molto, molto, operoso. Auguri!

(Tra le tantissime cose che mi hanno coinvolto personalmente e politicamente e di cui sono grato a Marco Pannella c’è anche l’idea di una giustizia giusta che ho cercato di riassumere in questo articolo scritto pochi giorni prima della sua scomparsa)

Letto 4805

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Fabio Lazzaroni

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Aggiornato al 31 marzo 2018

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