L’antipolitica e lo storytelling

Il primo termine non si può usare, il secondo si deve usare in continuazione. Lo sdoganamento del M5stelle, che si fa passare (solo in Italia) per un movimento privo delle connotazioni inquietanti che hanno i movimenti europei ad esso analoghi, è parallelo alla delegittimazione del PD guidato da Renzi e del suo governo

Letto 6102
L’antipolitica e lo storytelling

“Se guardassi alcune TV e leggessi alcuni giornali, nemmeno io voterei per me” Renzi non poteva trovare parole più efficaci per descrivere l’insofferenza di certo establishment italiano (ben nascosto dietro questa guerra mediatica) verso le sue riforme. Il colmo della sfacciataggine è che non viene riconosciuta la contestazione quasi unanime che da più di un anno ormai il suo governo subisce dalle TV (in certi casi considerate addirittura suoi megafoni) e da buona parte della stampa. Si finge di credere che il favore mediatico di cui Renzi godette agli inizi non si sia mai arrestato. Ci si stupisce dell’ultima intervista in cui viene “maltrattato” da Massimo Franco d’intesa con la Gruber, come se ormai non fosse da ben più di un anno che la Gruber sottopone il suo governo a una critica serrata.

D’altro canto ci si rifiuta di dare una consistenza reale al termine antipolitica, liquidandolo come un modo subdolo e colpevole della politica “tradizionale” per nascondere la propria inadeguatezza, mentre si fa un uso spropositato della parola storytelling per presentare come un fatto incontestabile la propria accusa di inadeguatezza al governo, delegittimando il PD di Renzi e al contempo legittimando il M5stelle con un’argomentazione tautologica.

Dicono che l’Italia non abbia visto alcun miglioramento sotto questo governo e che i risultati da Renzi rivendicati siano elementi di uno storytelling, che niente ha a che fare con la realtà, dimenticando di aggiungere però che ha trovato un paese con una disoccupazione al 13,7% e una recessione perdurante da 7 anni consecutivi, problemi creati nell’arco di 20 o forse 30 anni e quindi impossibili da risolvere drasticamente in soli 2 anni. Dimenticano anche di considerare che lo storytelling dei suoi avversari è molto più strutturato del suo e nasconde molte magagne, che poi vengono alla luce (come in questi giorni nel Campidoglio), mentre con estrema perizia ne minimizza altre (posizione sul terrorismo islamista; alleanza con Farage; xenofobia, omofobia, sessismo, revanscismo, antioccidentalismo che attraversano come una corrente carsica la babele ideologica dentro cui sono inchiavardati; una cultura “fascista” nel rapporto con la democrazia rappresentativa e con gli avversari). Le rendite di posizione che difendono le “vittime” di queste amnesie trovano, come spesso accade, i loro “utili idioti” di turno fra personaggi in buona fede del mondo mediatico e intellettuale (Flavia Perina e la professoressa Sofia Ventura ne sono due esempi perfetti).

Il vero problema del PD è che occorre una qualche elaborazione culturale per capire che la realtà è questa, elaborazione che non puoi certo chiedere di fare nelle periferie degradate dalla lunga recessione e sovraffollate da disoccupati, o dove è scoppiato il bubbone di Mafia Capitale. Nel migliore dei casi ti ridono in faccia. Dirgli che questo governo ha ereditato e affrontato questi problemi con risultati proporzionali alla sua età accresce il loro livore. “Avere ragione” non serve a niente. Bisogna ricominciare da capo come se si avesse torto.

P.S. Come dobbiamo giudicare chi ha gli strumenti per operare queste elaborazioni culturali e non li usa, o peggio li usa per rovesciarle?

Letto 6102

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Fabio Greco

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Aggiornato al 31 marzo 2018

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