Erri De Luca, “dente cariato sotto placca d’oro”

Enzo Puro entra sotto la carta patinata con cui viene narrato lo scrittore napoletano ex responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua. La bella favola con cui ci si è addormentati negli anni 80 per svegliarsi successivamente con nuove identità. La generazione che ha scalato il successo ed il potere mentre i Leonardo Marino vendevano piadine sulla costiera romagnola

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Erri De Luca, “dente cariato sotto placca d’oro”

Si è parlato molti in questi giorni di Erri De Luca.

Voglio parlarne anche io dal mio punto di vista molto estremo. Estremo ed indignato.

Ma prima di commentare le vicende del processo e analizzare la personalità politica di De Luca vorrei al volo definirlo come scrittore e mi avvalgo della definizione (una parola che come vedremo De Luca ama tanto) che ne dà Massimo Onofri, saggista e critico letterario professore ordinario di letteratura italiana contemporanea all'Università di Sassari.

Scrive Onofri:

Uno scrittore nettamente sopravvalutato è Erri De Luca, dove c'è una specie di neodannunzianesimo proletario, che mi fa venire in mente la battuta con cui, mi pare, Fortini bollò, ingiustamente, la prosa di Longhi: dente cariato sotto placca d'oro. Si tratta di una scrittura rarefatta, concentrata, di una sapienzialità e ieraticità che dissimula appena la sua radice piccolo borghese. È un fenomeno interessante a livello di sociologia della letteratura, perché i libri di De Luca, che coniugano il sublime con il comunismo o il postcomunismo, forniscono facilmente ai fans la patente di anima bella e politicamente corretta. Il metro dell'ideologia, se vale per smascherare i cattivi scrittori, non aiuta a trovare i veri.”

Dopo questa stroncatura però torniamo alle vicende di questi giorni, vicende che hanno confermato in me una convinzione che ho sempre avuto.

E cioè che la generazione che infiammò le piazze prima nel 1968 e poi nel 1977 non è stata una generazione di sconfitti.

Quelli che noi comunisti italiani chiamavamo “gruppettari”, e che pensavamo di aver sconfitto, hanno invece vinto (e mi riferisco naturalmente ai leader e non alle migliaia e migliaia di Leonardo Marino che dopo una vita di militanza si sono trovati a vendere piadine sulle spiagge romagnole).

E non c’è casta che oggi non li vede protagonisti anche se la loro più forte concentrazione la troviamo nel mondo giornalistico e delle case editrici.

E la prova di questo protagonismo creatore di opinione l’abbiamo avuta in questi giorni quando abbiamo visto al fianco di Erri De Luca tanti suoi amici giornalisti e tanti suoi amici scrittori e politici trasversali (tutti provenienti da quella esperienza negli anni 70), tutti pronti a trasformarlo in un martire della libertà di parola se quel tribunale lo avesse condannato.

E la forza del frame “con Erri si processa la libertà di opinione” si è imposta su quella che è la realtà.

Ma sarebbe indubbiamente stata libertà di opinione l’esprimere contrarietà ad una opera pubblica che si reputa sbagliata e pericolosa e libertà di opinione sarebbe stata l’invocare manifestazioni pacifiche contro quell’opera.

Non mi sento di definire semplice libertà di opinione l’approvazione di atti di sabotaggio violento quali quelli che le frange più estreme dei No TAV hanno messo in atto in Val di Susa.

Un tribunale della Repubblica ha stabilito (sull’onda probabilmente delle pressioni mediatica della casta degli amici di Erri) che ciò non è reato.

Ne prendiamo atto ma continuiamo a pensare che non si tratti di semplice libertà di opinione.

E questa melassa mediatica intorno alla figura di De Luca ha messo in secondo piano la storia di questo personaggio. E le sue dichiarazioni dell’oggi andrebbero lette in controluce con questa storia e con altre raggelanti dichiarazioni.

Perché siamo in presenza di un tizio a cui si confà perfettamente la definizione di “cattivo maestro”. Di uno che lancia il sasso e nasconde la mano.

E di un cattivo maestro che non ha fatto fino in fondo i conti con la sua storia, in un misto di presunzione e di arroganza da intoccabile primo della classe (che era la cifra comportamentale tipica di molti dirigenti di Lotta Continua di cui Erri De Luca fu per un periodo il responsabile del servizio d’ordine).

C’è da raggelare nel leggere che cosa rispose ad un giornalista che tempo fa gli chiedeva se a suo avviso il rapimento di Aldo Moro e l’uccisione degli uomini della scorta non siano state aggressioni di persone indifese.

Questo campione della libertà di opinione rispose così: “No. Perché la scorta era composta di uomini armati. Attenzione, stiamo ragionando ancora di definizione. Nello specifico, penso che durante quella stagione ci sono stati caduti da entrambe le parti. [...] Io la considero una piccola guerra civile. Piccola dal punto di vista del numero dei caduti. Ma non piccola se si considerano i militanti condannati per banda armata: sono stati incriminati in migliaia.”

Quindi non un attacco di criminali eversivi allo Stato democratico ma una piccola guerra civile. E piccola perché a suo avviso i morti ammazzati sono stati pochi. Dimenticando o facendo finta di non sapere che in quegli anni di piombo il terrorismo provocava un morto ogni giorno, giornalisti, forze dell’ordine, politici magistrati, semplici cittadini.

Ed è da sottolineare l’ipocrisia dello scrittore che parla di “definizione”, perché lui uomo di lettere ama definire bene le cose, usare le parole giuste, perché ha imparato che con l’uso delle parole giuste si maschera bene la realtà.

Ed è per questa sua ricerca letteraria delle parole giuste che in un'altra intervista disse: “Le Brigate Rosse non possono considerarsi un gruppo di terroristi. Terrorista è infatti chi mette una bomba su un treno, terrorizzando, appunto, la gente comune.

Siccome sono fissato per la lingua italiana cerco di essere preciso. (...) Dunque, terrorismo è l’atto di chi vuole distruggere e terrorizzare il maggior numero di persone indifese.”

Ma che uomo è uno così? Non c’è bisogno di commento.

Come non c’è bisogno di commento quando alla domanda “tu lo sai chi ha ammazzato Calabresi?” risponde “Preferisco non risponderti. Non mi sento libero di parlare di questo... ne parleremo quando non avrà più rilevanza penale”

E questo signore ormai anziano, celebrato come grande scrittore, e che ancora oggi afferma che il sabotaggio è un atto legittimo, in un'altra occasione disse, riferito a Lotta Continua ed al servizio d’ordine di cui era a capo:Non eravamo mica pacifisti. I rivoluzionari ammettono per definizione l’uso delle armi. Lc è stata differente dalle formazioni clandestine perché considerava l’uso delle armi una dannata necessità secondaria mentre le formazioni clandestine lo consideravano come l’unica manifestazione politica. Tanto per capirci, gran parte di Prima linea al Nord è stata formata da ex militanti di Lc”.

Mi ribolle il sangue nel leggere tutto questo.

E mi fa tornare in mente una impietosa analisi dello storico Miguel Gotor (prima che diventasse un pessimo politico) che, nel suo splendido libro dedicato alla esegesi del materiale prodotto da Aldo Moro nelle prigioni brigatiste, ci ha fornito un affascinante e lucido affresco di quella che fu la mia generazione (tra il 1968 ed il 1977).

La tesi di Gotor (che aiuta a leggere in controluce tante storie personali tra cui anche quello di Erri De Luca) è che dopo la sconfitta si oscurò, negandolo radicalmente, quell’intreccio trasversale sempre esistito tra le teorizzazioni della rivista Metropoli e delle altre “riviste autonome”, il Partito armato vero e proprio ed il movimento del ’77 nelle sue forme variegate.

E Gotor giustamente afferma che questa negazione fu praticata al fine di far prevalere – come fece notare giustamente Enrico Fenzi – l’idea di rifare la storia della sinistra extraparlamentare senza le BR” che ha come corollario la mistica della autosufficienza brigatista.

E nel momento della sconfitta la vasta area che in forme diverse stava intorno al Partito armato e di cui era il bacino di reclutamento si inventò la bella favola della “contrapposizione teorica postuma e fittizia tra i corpi visibili “cattvi” – BR e Stato- dediti rispettivamente alla lotta armata ed alla sua repressione ed i cosiddetti invisibili, i giovani “buoni” innocenti e libertari del movimento del 1977, i quali sarebbero rimasti schiacciati da uno scontro tra apparati contrapposti che non li avrebbe minimamente riguardati.

Una bella favola, buona per addormentarsi negli anni 80 senza troppi rimorsi per poi risvegliarsi, nel decennio successivo, indifferenti, qualunquisti, inquieti, annoiati, di destra o al massimo ecologisti, gran gourmet dello slow food, pensionati baby da diciannove anni sei mesi ed un giorno e poi lavoratori in nero, antiquari, librai, piccoli editori, commercianti di tessuti indiani e bonghi africani, gestori di vinerie e ristorantini con le torte fatte in casa, comunque ancora e sempre contro. Antipartito ed antipolitici.

Come se nulla fosse accaduto e si fosse trattato solo di un lungo sogno in cui la nostalgia e la tenerezza per la giovinezza perduta avessero progressivamente preso il sopravvento sui cattivi ricordi, quegli spari alla cieca nascosti nel gruppo quando la celere caricava, gli assalti alle armerie, le auto bruciate, l’ammirazione spassionata e sincera per le gesta delle BR, la mancanza di coraggio nel seguirle, quella sprangata di troppo, un po’ per odio contro il fascista un po’ per emendare la propria paura di andare sino in fondo per davvero.”

E De Luca da quel sogno si è svegliato scrittore dopo aver disseminato la sua nuova vita di buoni propositi e provando a far dimenticare il passato.

Ma quel passato non può passare. Tante sono le zone d’ombra di cui è disseminato. E ad Erri, anch’esso come nella favola dello scorpione e della rana, viene fuori spesso il vecchio pungiglione. E’ il suo essere.

Quell’essere che ha tentato di nascondere scrivendo cose melensamente paniche, banali e dannunziane come queste: “Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca. Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle. Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.”

103 Dati social all'8 febbraio 2016


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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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