Non è con l’indignazione moralistica che Roma uscirà dalla crisi

Daniele Fichera, consigliere regionale e candidato nella lista “una Rosa per Roma”, motiva la sua ragionata fiducia in Roberto Giachetti

Letto 5787
Non è con l’indignazione moralistica che Roma uscirà dalla crisi

“La semplificazione, consapevole o inconsapevole, dei rimedi necessari e la convinzione che indignazione, rabbia e vendetta siano propellenti che si programmano da soli verso il meglio sono due sciocchezze che vanno di pari passo.”

Non è la prima volta che faccio ricorso alla frase che un grande intellettuale riformista come Luciano Cafagna scrisse più di venti anni fa. Il suo libro “la grande slavina” è del 1993.  

Allora ad agitare i cappi ed a proporsi come campioni dell’onestà erano i leghisti di Umberto Bossi; la storia successiva ci ha mostrato di quali miserie sono stati capaci.   Gli facevano da sponda i cinici gruppi dirigenti dei partiti risparmiati per fortuna o per calcolo dalle inchieste giudiziarie e dalle loro amplificazioni mediatiche, tutti pronti a dar voce all’indignazione e ad assecondare i desideri di vendetta dell’opinione pubblica; quando, nei successivi venti anni si sono trovati a dirigere il paese hanno mostrato tutti i limiti di culture politiche inadeguate e approssimative.

Ma a beneficiare dello schema “indignazione più semplificazione” e della trasformazione della politica in pura comunicazione fu, alla fine, il potere forte del magnate televisivo Berlusconi che, con la scaltrezza propria dell’uomo d’azione, riuscì a trasformarsi da beneficiario ad apparente rinnovatore del sistema, riuscendo a sommare i consensi di chi voleva cambiare tutto e di chi voleva salvare il suo. Il cavaliere l’Italia la ha cambiata poco (e quel poco in peggio) ma il suo lo ha effettivamente tutelato.

Più modesta, ma sommamente emblematica, la parabola del campione assoluto (all’epoca) della indignazione semplificatoria: il ruvido inquisitore Di Pietro, persosi in vicende di smemoratezze sui finanziamenti pubblici al suo partito.

Non credo sia inutile ricordare queste vicende a chi per età non può averne memoria diretta e a chi ha preferito dimenticare. Oggi l’indignazione semplificatoria ha nuovi araldi a cinque stelle che si candidano, con concrete speranze di successo, al governo della capitale d’Italia.

Non sembrano frenati né dall’inconsistente vaghezza delle loro indicazioni programmatiche né dalle oscure ambiguità della loro organizzazione e della loro candidata.

“Questi nuovi picconatori – cito ancora l’incredibilmente attuale Cafagna di venti anni fa – si sentono incoraggiati dagli effetti di sovraeccitazione che le loro campagne provocano. E rincarano la dose. Sembrano non sapere che la denuncia e l’indignazione sono come la stricnina: in piccole dosi la usa addirittura come ricostituente, ma, in dosi ulteriori, puramente e semplicemente uccide.”

Così una parte consistente dell’opinione pubblica di questa città sembra propensa alla lasciarsi andare alla corrente del “tanto peggio tanto meglio”, quasi avesse rinunciato all’idea di una ripresa della città e si accontentasse di punire chi ritiene corresponsabile della crisi. Ma è davvero ragionevole affidare una delega in bianco ad un movimento che non dice nulla (se non banalità moralistiche) sulle maggiori questioni programmatiche e di cui non si conoscono nemmeno con chiarezza i meccanismi decisionali interni?

Certo il centrosinistra romano (ed in particolare il PD) che dovrebbe contrapporvisi è appesantito da un decennio in cui non ha saputo né governare né fare opposizione, in cui ha subito la penetrazione degli interessi particolari nelle reti di rappresentanza e nei gangli decisionali delle istituzioni. La riluttanza ad impegnarsi dell’opinione pubblica progressista è quantomeno comprensibile.

Tuttavia i partecipanti alle primarie hanno scelto un candidato particolare come Roberto Giachetti. Persona di comprovata onestà e che conosce, ma non subisce, i meccanismi del potere di questi anni.

Giachetti può essere il sindaco della svolta in grado di fermare la slavina qualunquista, di restituire un governo efficace alla città e di concorrere a promuoverne un nuovo ciclo di sviluppo. Ma va aiutato a farlo.

La sua squadra e il suo programma sono discreti, ma si poteva osare di più, molto di più, nell’uno e nell’altro caso, in termini di discontinuità e innovazione. Vedremo più avanti, ma non è il caso di stare solo a guardare.

Vi sono nella sua coalizione liste, tra le quali quella della “Rosa per Roma” di cui faccio parte, che ambiscono a promuovere cambiamenti più radicali nei metodi e nei contenuti di governo rispetto a quanto sperimentato negli ultimi anni, che non si portano appresso il fardello di recenti compromissioni.

La possibilità di ottenere effettivamente questi cambiamenti dipende dall’impegno e dall’autorevolezza di chi rappresenterà questa esigenza, ma anche –come avviene in democrazia- dal numero di coloro che affideranno a forze innovative con il voto il compito di essere rappresentati.

Letto 5787

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Daniele Fichera

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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