Se la narrazione fa a cazzotti con la logica e la storia, le conseguenze saranno rovinose

La lezione delle urne per il PD

Letto 4768
Se la narrazione fa a cazzotti con la logica e la storia, le conseguenze saranno rovinose

Se per descrivere il corso e lo sviluppo degli eventi si utilizza il linguaggio crudo dell’aggressione emotiva che fotografa un presente oggettivizzato, con questo canone interpretativo non si può che rifluire nella ricerca di capri espiatori immediati per indicare la soluzione alle problematicità che insorgono.

E tutto per evitare una riflessione più profonda, condivisa, partecipata e se del caso problematica degli avvenimenti.

Ed in questo scenario prevale chi è più becero, prepotente e millantatore chi semplifica ogni cosa fino alla totale regressione del pensiero e della riflessione.

È un esito terribile per le sorti delle comunità e bisogna impegnarsi fino allo spasimo perché questo non avvenga, offrendo, al contrario, una narrazione degli avvenimenti che sia comprensiva, competente, vidimata dai dati di realtà e dei nodi problematici veri per affrontarli decisamente.

È questo lo sforzo che si tenterà di fare anche a proposito della competizione per le primarie del Pd evitando che anche questo evento possa essere omologato alla emotività del momento e non essere invece foriero di un pensiero più’ profondo.

Cominciamo a declinare la genesi di questo congresso.

Il Congresso si avvia con la richiesta di dimissioni di Renzi cui si addebita la sconfitta del 4 marzo.

Certo non si può dire che non ci sia stata, il Pd ha perso il 6,8 in percentuale rispetto al 2013 senza però tener conto dell’ondata di destra che ha accompagnato questi ultimi anni e la contemporanea sconfitta in Europa e nel mondo delle socialdemocrazie.

Aver richiesto a tamburo battente il cambio del segretario è stata la classica risposta di chi cerca il capro espiatorio nelle criticità senza offrire un minimo di sostegno e di motivazioni a questa pretesa.

Vediamo di declinarle ora noi in qualche modo.

A Renzi si imputa di aver perso in maniera disastrosa ed aver determinato, per le sue politiche di “destra”, la fuga del popolo di sinistra.

Un semplice raffronto statistico avrebbe permesso di confutare questa tesi in quanto la sconfitta di più ampie proporzioni il Pd nella sua storia l’ha avuta nel 2013, quando passò dal 34% del 2008, al 25,4% del successivo appuntamento elettorale e risultava alleato con Sel.

Quindi, al contrario, se vogliamo stare ai dati della storia l’emorragia del Pd vi era già stata, andando ad ingrossare un partito nato dal nulla, che divenne il partito di maggioranza relativo 25,5%, per memoria.

Proprio quando si era connotato più a sinistra al contrario di quanto avesse fatto Veltroni nel 2008 che declinò qualsiasi alleanza con la sinistra estrema.

Quindi concludendo la sinistra era già in crisi di consensi prima dell’avvento di Renzi, ma anche di linea politica e di coesione interna se il Pd non riuscì ad eleggere il Presidente della Repubblica.

Se si guarda all’azione di Renzi, al contrario, nel giro di un anno portò il Pd al 40,8% alle Europee rompendo con Sel che assieme a tutte le galassie dell’estrema sinistra superò a stento. nel nome dell’allora ribelle Tsipras, la soglia di sbarramento.

Ma vi sono almeno altri due momenti che verificano come quell’assunto delle colpe di Renzi sia privo di qualsiasi fondamento.

Il primo è rappresentato dalle elezioni regionali del Lazio, dove a differenza della coalizione nazionale si preferì optare per un raggruppamento di sinistra-sinistra escludendo il centro democratico dall’appoggio alla candidatura di Zingaretti.

Ebbene qui la sconfitta è stata di più ampie proporzioni. La coalizione di sinistra ha subito un arretramento del 9%, senza peraltro aver dovuto subire le conseguenze della scissione, per cui ancora una volta declamare che il Pd abbia perso a livello nazionale perché spostatosi a destra, mentre le espressioni di sinistra sarebbero state vincenti, subisce il secondo smacco dalla realtà del voto del 4 marzo.

Ma ancora di più’ a confermare queste lettura completamente sballata della realtà ha provveduto il risultato elettorale di LeU.

Un raggruppamento elettorale nato espressamente per raccogliere non solo i delusi di “sinistra” della politica renziana ma anche i 5* che si sarebbero allontanati dal Pd, sempre a causa di Renzi (mentre abbiamo visto che il più pesante salasso lo si ebbe nel 2013) e che ha fallito completamente questa missione.

Ed il fatto che vi sia stato Bersani tra i protagonisti dimostra che vi è una coazione a ripetere sostanziale ammantata da una ideologia chiaramente farlocca.

Il fatto infine che Zingaretti si sia ancora proposto come candidato in questo congresso su questa stessa piattaforma risultata disastrosa in un quinquennio di storia dimostra come certa ideologia ammuffita sia dura a morire ed anzi vorrebbe arricchirsi di un nuovo capitolo fallimentare.

Avanzo ora la mia lettura delle cose.

  • Se il Pd ha retto di fronte alla crisi generale della sinistra in Europa e nel mondo (a differenza degli scissionisti) è perché ha saputo offrire un riferimento a ceti ed espressioni politiche che hanno creduto in un disegno di modernizzazione del Paese. La controprova? Il fatto, appunto, che la scissione si è rilevata minoritaria nel suo seguito e non ha costituito un riferimento per tutti quei soggetti che venivano evocati dalla narrazione di Grasso, Bersani, D’Alema e la Boldrini.
  • L’elettorato Pd è per buona parte conquistato dall’azione di governo di questi anni e non crede minimamente alle sirene di chi racconta che bisogna cancellare tutto e che bisogna chiedere scusa al popolo italiano (lo facciano loro visto che hanno perso molto di più a cominciare dal Lazio).
  • L’operazione Zingaretti si configura come contraddittoria se, rappresentando il nuovo annovera, tra le proprie file anche il Presidente del Consiglio uscente come se fosse stato lì di passaggio. Lui è esonerato dalle scuse?
  • Zingaretti si presenta come il restauratore che vorrebbe imbarcare D’Alema e Bersani e fa proprio ridere quando nega tutto questo visto che i suoi principali collaboratori da Bettini a Smeriglio lo affermano ad ogni piè sospinto.

Sono queste le ragioni, verificabili facilmente nei loro passaggi ,che mi fanno dire che Zingaretti non è il nuovo, anzi anagraficamente è abbastanza in là negli anni, se raffrontato a Renzi e Calenda.

E politicamente il percorso da lui prefigurato è stato sistematicamente sconfitto in tutte le occasioni e sa di vecchio e stantio.

Se invece crede di trasformare il Pd in qualcosa che somigli al PdS con una spruzzata di ex margheritini, sappia che sta aprendo la strada ad un nuovo partito riformista moderno che sarà interpretato molto probabilmente da Carlo Calenda.

E che alle elezioni europee un Pd zingarettiano non supererebbe il 12% è nel novero delle cose mentre Renzi è arrivato al 40,8. Questo sempre per memoria.

La sinistra storica ed il suo personale politico che non ha saputo rinnovarsi è in crisi come dimostra questo excursus e solo quando il Pd ne ha preso più decisamente le distanze (2008 e 2014) ha realizzato i maggiori successi elettorali.

Anche questo per saperlo.

Letto 4768

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Enzo Pino

Pensionato, commentatore politico per diletto. Collabora con diverse riviste on line. Già responsabile del Centro Studi Ricerche e Fomazione Cgil Sicilia.

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