Il duello

Le partite perfette

Letto 4740
Il duello

L’Italia che si divide per il referendum, la legge elettorale, i migranti e il maglione di Agnese Renzi fa il verso a quella, molto più affascinante, che, si divideva per una bandierina. Non il tricolore sdrucito e irriso dei nostri (?) giorni, ma la bandierina alzata da un guardalinee.

Né c’era un tavolo dove poter discutere, non c’erano le consultazioni e si passava subito alla sfida successiva. E’ il Paese spaccato per il gol di Turone in Juve-Roma. Anzi il gol annullato a Turone. Ingiustamente. Perché il guardalinee ci vide un fuorigioco che non c’era. E per tutti quei primi anni Ottanta se ne parlava e se ne riparlava senza distinzione di ceto e latitudine, si litigava come fosse lo specchio della sudditanza psicologica arbitrale alla Juve degli Agnelli a danno “degli altri”, ovviamente anche delle squadre del centro-sud.

In un calcio che va adesso a velocità doppia, lo zero a zero di quel giorno potrebbe suonare prediletto solo dai nostalgici, uno scontro giurassico in cui vanno a nozze solo i paleontologi della pedata. Juve-Roma è anche questo. Ma a Roma lo scudetto del 1981 grida ancora vendetta, nutrendo la scia di una rivalità probabilmente per altri decenni.

Quell’annata era affiorata dal grigiore del campionato del calcio scommesse una irripetibile sfida a tre tra Juve, Roma e Napoli, praticamente appaiate a tre giornate dalla fine. E con due scontri diretti in programma. La Roma aveva condotto il torneo in testa quasi dall’avvio, mettendo in vetrina la struttura plasmata in un anno di lavoro dal gran sacerdote Nils Liedholm. Armonica e con la vocazione a giocarsi sempre la partita, in trasferta come all’Olimpico. Il tecnico svedese responsabilizza un talento quale Agostino Di Bartolomei e esalta la classe cristallina di Bruno Conti. Valorizza il portiere Tancredi, lancia giovani di grande avvenire come Carlo Ancelotti e Sebino Nela. Rigenera vecchie volpi come Luciano Spinosi, Sergio Santarini e Aldo Maldera. Una macchina perfetta in cui il terminale, non unico ma mortifero, è Roberto Pruzzo, clone del cannoniere tedesco Gerd Muller.

Era allora magico quello che appare adesso scandalosamente lento, schemi innovativi ora ingiustamente rievocati in forma di presepe, come rinchiusi in un football inutile, quasi mummificato. Proprio quell’anno e dopo la vittoria di Coppa Italia, l’innesto di un fuoriclasse come Falcao permette di fare il salto di qualità. Ma tutto si ferma contro la Juve con quella bandierina alzata. Lo scudetto va a Torino, al termine di una partita che più volte somiglia a una corrida. Finisce con un espulso - Furino della Juve - una valanga di ammoniti e una serie di tackle da non proiettare nelle scuole calcio (e nei reparti di ortopedia). Al termine della stagione Liedholm e i suoi si consolano con la seconda Coppa Italia.

Nell’anno successivo la squadra rimane ad altissimi livelli e consacra Bruno Conti, miglior giocatore del Mundial di Spagna. Lo scudetto – che, in mezzo alle polemiche, va ancora alla Juve per un punto sulla Fiorentina - è rimandato solo di una stagione. Quando nel mosaico collaudato vengono incastonati i due tasselli ideali: Pietro Vierchowod per blindare la difesa e permettere l’arretramento di Di Bartolomei, coperto dall’arrivo di Prohaska.

“La palla non pensa, ma sa dove andare” ricorda Gigi Riva (lo scrittore, non il bomber). E la Roma vince dominando. Non solo era il trionfo della gran parte della città giallorossa, ma la vittoria del gioco a zona , di un centrocampo dalla classe superiore e di quel grande insegnante di tecnica individuale che era Liedholm. In grado di vincere anche con Iorio, Righetti, Chierico, Nappi e Scarnecchia. Di spostare un mancino come Nela a destra, di inventare Di Bartolomei libero e rendere Falcao immarcabile.

Collezionare Coppe Italia non basta: ora c’e’ la Coppa dei Campioni. Che la squadra la meriti, come il pluridecorato Liverpool, rifulge nella semifinale dell’Olimpico. E’ l’assolato pomeriggio del 25 aprile 1984. Alla Roma serve vincere con tre gol di scarto. Cerezo ha nel frattempo surrogato Prohaska senza traumi. Gli scozzesi del Dundee impallidiscono lentamente di fronte alla macchina perfetta della giornata perfetta. Ne prendono addirittura cinque, l’arbitro ne convalida comunque tre. In tribuna c’è anche Sandro Pertini, il Presidente.

La Coppa sfuggirà, sempre sullo stesso campo, nella penombra degli undici metri che tutti vogliono dimenticare. Sarà la penultima partita della squadra di Liedholm. Poche ore dopo troverà la forza di vincere l’ennesima Coppa Italia. Giocando a quattro punte.

Il duello per lo scudetto con la Juve torna prepotentemente due anni dopo. Al netto delle crisi di rigetto, la Roma di Eriksson è grande quasi come quella di Liedholm. E il sapore della “vendetta” per il gol annullato a Maurizio “Ramon” Turone è irresistibile. Boniek finisce a fare il libero e lo fa bene. Ancelotti trascina l’animus pugnandi, Pruzzo non sbaglia un colpo e fa perfino pressing con Ciccio Graziani. Nello scontro diretto dell’Olimpico la Juve ne prende tre, due nel primo tempo come gli scozzesi. Non basterà per lo scudetto, ma sarà un’altra partita perfetta.

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Ernesto Consolo

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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