Enrico Letta, l’uomo invisibile

Della mia infanzia, del mio ambiente di lavoro, ci sono persone che, a distanza di anni, pur sforzandomi, non riesco a ricordare il nome; sono quelli “di mezzo”, gli invisibili, quelli che non lasciano traccia

Letto 5628
Enrico Letta, l’uomo invisibile

Chiunque di noi è stato parte di una comitiva, ha vissuto e vive in un ambiente di lavoro, ha avuto (da ragazzo/a) compagni di gioco, compagni di viaggio, amici con cui passare il tempo libero, così come colleghi di lavoro.

In questi ambienti, ci sono sempre, quelli più dinamici, propositivi, i cosiddetti leader; quelli che si contrappongono sempre, e quelli di mezzo.

Chi sono quelli di mezzo?

Quelli di mezzo sono gli invisibili. Quelli che seguono il gruppo, quelli che o non hanno opinione o si adeguano, quelli che “lisciano il pelo”, insomma quelli che non si espongono mai.

Sono sempre lì, un passo o due dietro il leader di turno, e a questi fanno l’eco, sono la seconda o terza fila. 

Ecco Enrico Letta è uno “di mezzo”. Mai una posizione netta, mai una opinione di avanguardia, sempre convenzionale, mai uno strappo.

La carriera di Enrico Letta è ricca, più volte ministro, sottosegretario, fino a diventare premier. Andando a leggerla si rimane sorpresi. Da non credere. C’è da meravigliarsi. Ma veramente?

Si, quelli “di mezzo” non lasciano il segno.

Della mia infanzia, del mio ambiente di lavoro, ci sono persone che, pur sforzandomi, a distanza di anni non riesco a ricordare il nome; sono quelli “di mezzo”, gli invisibili, quelli che non lasciano traccia.

La carriera di Ernico Letta comincia sotto l’ala protettiva di Beniamino Andreatta, ne è il segretario, arriva a diventare vice segretario della Margherita. Di lui dice il suo mentore:” Enrico i problemi li accarezza”. Una frase che da il segno della capacità di dipanare matasse del nostro Enrico. Insomma se vuoi risolvere dei problemi, lui non è certamente la persona indicata.

Saltando i vari passaggi, il nostro eroe con Bersani diventa vice segretario del PD.

Come si può notare, la caratteristica dell’uomo è quella di essere sempre il vice di qualcuno: segretario di Andreatta, vice segretario della Margherita, vice segretario del PD. Gli altri passano e lui è sempre lì.

Una carriera di primo piano ma non di primissimo; una carriera concreta ma, anonima, invisibile.

Se si va a ricercare sue rare interviste, il cliché è sempre uguale: mai ironico, aria greve, sospiro, poi un preambolo e lì con la descrizione di uno scenario accademico teorico, condivisibile ma aleatorio, l’inserimento di tanti se, tanti ma, tante variabili, una speranza…convincente. Siamo ipnotizzati. Ma quale è la soluzione? Quale è concretamente il pensiero? Quale è la strada? Boh. A dover sintetizzare le sue risposte si trova difficoltà.

Il nostro Enrico nel 2013 diventa premier, dopo il tentativo fallito di Bersani di fare il governo. Napolitano è presidente della Repubblica.

Il suo mandato, succedendo a Monti è quello di fare una legge elettorale, e le riforme. Passa quasi un anno e nulla è cambiato, non c’è legge elettorale, non ci sono riforme in cantiere; Letta non si smentisce. Continua ad accarezzare i problemi; ma il tempo passa.

Va nei Paesi arabi per procacciare investimenti per l’Italia, ne torna con un investimento di 200 mln; quando atterra, in conferenza stampa fa un discorso come se quei milioni fossero miliardi. Questa è la misura.

Arriva Renzi segretario, che rinnova la fiducia a Letta, ma pone una condizione che è anche un avvertimento: non si può continuare a tirare avanti così, bisogna mantenere fede agli impegni, fare le riforme.

Lo stallo, le pressioni del PdR Napolitano, la minoranza interna e perché no le ambizioni di Matteo Renzi che mordeva il freno portano alla pietosa scena della campanella.

Quella scena, con Letta che non nasconde il broncio ed il risentimento, che a tutt’oggi resta inalterato e anzi cresce al crescere dei successi di Renzi, da finalmente visibilità al Letta della “via di mezzo”.

Non so, cosa possa fare in futuro Letta per essere ricordato; credo però che fra 30 anni di lui si ricorderà il passaggio di consegne avuto con Matteo Renzi. Per questo episodio l’uomo invisibile ha lasciato il segno: la vittima. A lui piace.

A distanza di 4 anni, il suo risentimento traspare in ogni sua dichiarazione; non perde occasione per scagliare frecciate verso chi lui ritiene l’usurpatore.

Ieri, nella rivisitazione dei fatti di 4 anni fa, è intervenuto con una frase che dimostra di quando veleno sia capace: “il silenzio esprime meglio il disgusto”. Oltre che velenoso, direi anche volgare.

Strano che non sia intervenuto a confutare i fatti, che invece vengono acclarati da varie testimonianze; non fu un golpe di Renzi, ma un intervento della minoranza che vedeva, con Letta premier, sprofondare il sondaggi del PD, nonché l’immobilismo del governo.

Bene. Del nostro uomo invisibile, resterà nella memoria della gente, l’apparizione nella scena del passaggio della campanella (consegne).

Continuerà a credere nella sua versione di comodo, che umanamente costituisce il suo alibi, e poi si ritufferà nella sua dimensione, l’oblio, in attesa di prendere la scia di un nuovo numero 1, lui che numero 1 non sarà mai.

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Francesco Coraggio

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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