Ma davvero Matteo Renzi è divisivo? O sono più divisive le richieste di abiure?

Ma divisivo de che? Cosa doveva fare Matteo Renzi di fronte alle incredibili resistenze conservatrici che bloccano l’innovazione nel nostro paese? Dimettersi come fece Veltroni nel 2010? Rinviare ogni decisione come fece Enrico Letta? Non affrontare i nodi strutturali che bloccano il nostro paese come hanno fatto i pur meritevoli governi Prodi? Renzi ha fatto un'altra scelta. Ha scelto di decidere. E a chi oggi propone le abiure sul Jobs act e sulla Buona Scuola risponde saggiamente Piero Fassino

Letto 7997
Ma davvero Matteo Renzi è divisivo? O sono più divisive le richieste di abiure?

Ma davvero Renzi è divisivo oppure sono più divisivi quelli che chiedono solo abiure?

Quando non hanno più argomenti sulla qualità della azione di governo dal 2014 ad oggi, tirano fuori la storia che però Renzi è divisivo.

Ma divisivo de che? Cosa doveva fare Matteo Renzi di fronte alle incredibili resistenze conservatrici che bloccano l’innovazione nel nostro paese? Dimettersi come fece Veltroni nel 2010? Rinviare ogni decisione come fece Enrico Letta? Non affrontare i nodi strutturali che bloccano il nostro paese come hanno fatto i pur meritevoli governi Prodi (meritevole a mio avviso solo il primo Prodi Veltroni)?

Renzi ha fatto un'altra scelta. Ha scelto di decidere.

E lo ha fatto senza annacquare i contenuti che sono stati (piacciano o meno) radicalmente riformisti, scioccanti per una certa sinistra abituata al titic titoc dei caminetti, delle lunghe trattative, dei rinvii della decisione se prima non siamo tutti d’accordo.

Lo ha detto anche Veltroni l’altro giorno che la democrazia per salvarsi deve essere una democrazia decidente. Non si può però nello stesso tempo accusare l’ex premier, come fanno molti, di essere divisivo (questo a dir la verità Walter non lo ha detto).

Perché deve essere chiaro che l’enorme massa di riforme, piccole, medie e grandi, che sono state approvate lo sono state perché Matteo Renzi non si è perso in estenuanti trattative. C’è un tempo per discutere ed uno per decidere. Meravigliosa ed esemplare rimane la risposta ai Vescovi conservatori italiani sulla approvazione delle Unioni civili quando disse che lui ha giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo (nessuno uomo non divisivo di sinistra era stato mai capace di dire tanto).

Anche a me quando ho fatto l’amministratore pubblico dicevano che ero un tipo autoritario ed accentratore (non usavano la parola divisivo perché all’epoca non andava di moda). Ma governando ho imparato che governare non è la stessa cosa che gestire una sezione o una federazione di Partito dove puoi inutilmente passare da una riunione all’altra senza decidere nulla tanto non se ne accorge nessuno. Quando si governa, lo ripeto, c’è un tempo per la discussione (possibilmente breve anche se intenso) e poi ci deve essere la decisione.

Il problema vero però sta in quello che non si dice.

Matteo Renzi è considerato divisivo perché ha tolto il potere alle vecchie classi dirigenti che a sinistra avevano sempre fatto il bello ed il cattivo tempo, decidendo sempre tutto loro dal segretario di circolo al Presidente di Finmeccanica, dai Sindaci ai Governatori da candidare, dai Parlamentari al sottobosco di nomine che spettano alla Politica.

Per far vedere però che erano aperti ed unitari sceglievano un prestanome, come fu per certi versi Prodi, ma la gestione, la golden share, restava sempre la loro (e D’Alema, ricordiamo tutti, ad un certo punto questa golden share l’ha esercitata, eccome se l’ha esercitata).

Ecco Renzi è divisivo perché non ha accettato semplicemente di fare da prestanome.

Ma con la decisione di non porre veti verso nessuno e di lavorare per una coalizione larga l’alibi del Renzi divisivo non c’è più come non c’è più l’obbligo di indicare un premier per la coalizione (essendo il nuovo sistema sostanzialmente proporzionale).

E quindi adesso non è più l’essere divisivo di Renzi il problema ma l’elenco delle abiure, un vero ricatto, che deve fare il PD per poter cominciare a discutere.

Ed è così iniziato il mantra sul Jobs act e sulla Buona scuola.

L’abolizione del Jobs act viene posta da Bersani come precondizione per mettersi seduti a trattare.

Come se la sinistra stesse in difficoltà per il Jobs act.

E poi il Jobs act è una buona legge. E sul lavoro il PD ha fatto tanto.

Perché prima del 2014 i licenziati erano più dei nuovi occupati. E dei nuovi occupati l’80% era lavoro precario.

Ed invece dopo il 2014 i nuovi occupati sono più dei licenziati. Ed il 60% dei nuovi occupati sono stati assunti a tempo indeterminato.

Una autentica e riformista forza di sinistra oggi dovrebbe guardare avanti e studiare nuovi strumenti per aumentare la quota di assunti a tempo indeterminato, per rafforzare le agenzie del lavoro e garantire il passaggio da lavoro a lavoro, per potenziare la rete di protezione per chi perde il lavoro.

Questo dovrebbe fare questa nuova sinistra, non chiedere il ripristino di un articolo dello Statuto dei lavoratori che prima del 2014 non difendeva già nessuno (la gran massa di licenziamenti avvenuti tra il 2008 ed il 2014 sono avvenuti con l’articolo 18 in piena funzione)

Anche l’abolizione della buona scuola viene posta da Bersani tra le precondizioni per sedersi a trattare.

Non si capisce in tutta sincerità cosa vuole abolire Bersani dei contenuti della buona scuola.

  • Forse il meritevole potenziamento della scuola della autonomia che significa legare la scuola al territorio e garantire che essa si adatti ed interagisca con il concreto tessuto sociale in cui opera senza dover chiedere l’autorizzazione al ministero?
  • Il ruolo più incisivo dato ai Dirigenti scolastici come Direttori educativi di una equipe educativa collegiale?
  • La triennalità dei Piani dell’offerta formativa (POF) per dare più continuità al progetto didattico, piani che saranno elaborati dal Collegio dei docenti, sulla base di indirizzi definiti dal dirigente scolastico, per essere poi approvati dal Consiglio di circolo o d’Istituto dove sono rappresentate anche le famiglie e, alle superiori, gli studenti?
  • Un'offerta formativa più ricca che guarda alla tradizione (più Musica e Arte), ma anche al futuro (più Lingue, competenze digitali, Economia) L’attivazione di un Piano nazionale per la scuola digitale, con risorse per la didattica e la formazione dei docenti?
  • Il finanziamento per la prima volta della formazione con uno stanziamento strutturale di 40 milioni di euro all’anno dal 2016 oltre alla card di 500 euro all’anno da utilizzare per l’aggiornamento professionale attraverso l’acquisto di libri, testi, strumenti digitali, iscrizione a corsi, ingressi a mostre ed eventi culturali, hardware e software e che può essere utilizzata anche per l’iscrizione a master e corsi post lauream?
  • L’aumento delle spese di funzionamento annuali (126 milioni di più all’anno)? 
  • La necessità di una valutazione degli insegnanti ai fini del premio di risultato?
  • La formazione dei nuovi insegnanti a carico dello Stato e non più a carico dell’insegnante stesso?
  • La chiusura delle graduatorie ed il ritorno alle assunzioni solo per concorso? 
  • L’attuazione di un Piano straordinario delle assunzioni mai visto di recente (ricordiamo i tagli della Gelmini?) nella scuola pubblica?
  • La possibilità per ogni singola scuola di evitare le cosiddette aule pollaio (cosa prima non possibile essendoci dei parametri rigidi nazionali)?
  • L’investimento di ulteriori 200 milioni per i mutui agevolati per la costruzione e la ristrutturazione delle scuole ed inoltre 40 milioni per finanziare circa 6.000 indagini diagnostiche sui controsoffitti degli istituti?
  • Le nuove norme in materia di inclusione degli studenti disabili certificati che promuovono la partecipazione della famiglia e delle associazioni di riferimento, quali interlocutori dei processi di inclusione scolastica e sociale e che prevedono l’inserimento del piano di inclusione studenti con disabilità dentro il Piano dell’offerta formativa?
  • La costituzione dei Poli per l’infanzia che si propongono la finalità di favorire la continuità del percorso educativo dei bambini da 0 a 6 anni, in modo da offrire esperienze progettate nel quadro di uno stesso percorso educativo, in considerazione dell’età e nel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento di ciascuno?

O forse Bersani si riferisce ai trasferimenti di insegnanti dal Sud al Nord? E cosa propone per ovviare a questo problema lo spostamento degli alunni dal Nord al Sud?

Non sarebbe meglio allora dire “non mettiamo in discussione la riforma ma vogliamo monitorarla continuamente e modificare le cose che non vanno usando il cacciavite? Perché vuole usare i cannoni?

Su questa tranchant richiesta di abiure la migliore risposta è stata quella del saggio ed equilibrato Piero Fassino quando ha giustamente fatto notare che “è difficile andare a chiedere un voto per governare altri 5 anni dicendo che abbiamo sbagliato tutto”.

Letto 7997

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Enzo Puro

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Aggiornato al 31 marzo 2018

 

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